La debolezza sta nella presunzione di credere di non poter soffrire due volte per lo stesso dolore ma di poter godere due e più volte della stessa gioia.
Si tende a credere che sia sufficiente ripetere ogni singolo gesto alla stessa maniera per rimanere lì, al vertice di quella piramide appena faticosamente scalata.
Siamo tutti convinti di imparare dalle nostre sconfitte, che la prossima volta ci faremo trovare pronti, perché siamo cambiati, siamo migliori.
Ma imparare non basta, e nemmeno cambiare, quella è soltanto un’inevitabile conseguenza.
Serve frantumarsi.
Scomporre in mille pezzi se stessi e le cose fatte, per saperle riassemblare in modo sempre diverso.
Come un caleidoscopio.
Hai presente no?
Quel cannocchiale che ad ogni scossone restituisce immagini e forme differenti e sempre uniche grazie alla sovrapposizione di migliaia piccoli frammenti colorati.
Ecco, l’atleta è un caleidoscopio e deve saper adattare il proprio corpo, i propri ritmi, la propria vita ad ogni minima rotazione del tubo.
E questo non accade solamente quando le cose non vanno e i risultati scarseggiano.
Anzi, la vera capacità di adattamento si misura proprio nel momento in cui si ha raggiunto un nuovo livello.
Uno step successivo.
Solo chi ha il coraggio di mettere sotto la lente d’ingrandimento il proprio lavoro sempre (anche nei giorni buoni) potrà evolvere. Solo così si può stare al passo con quelle cose che staranno comunque inevitabilmente cambiando.
“Com’è possibile che fosse tanto forte e ora non vinca nulla?”
“Da una stagione all’altra ha peggiorato tutti i suoi tempi, non è più quello di una volta”
Il punto è tutto lì, non siamo mai quelli di una volta.
Perché cambia impercettibilmente il nostro corpo.
Cambia (spesso in modo invece più sensibile) l’aspettativa sulle prestazioni.
Si modifica il rapporto con lo staff. Soprattutto cambia quel riflesso che vediamo sul pelo dell’acqua un istante prima di partire dai blocchi.
Sarebbe bello, una volta trovata la chiave del successo poterla tenere appesa al collo come fosse un talismano.
Quella stessa chiave però non aprirebbe più la serratura di una porta che cambia di continuo.
Ciò che più dovrebbe stupire di fronte alle carriere di atleti molto longevi, non è tanto la mera capacità di resistenza, di sopportazione dei carichi di lavoro.
Quello che più di tutto il resto li definisce appieno è la capacità di adattarsi sempre alle nuove condizioni.
Nessun campione è uguale alla prima versione di sé che ha mostrato al mondo.
Non solo per la maturità e l’esperienza acquisite nel tempo, ma per la loro reale capacità di reinventarsi.
i restare al passo non solo con il resto del mondo che avanza, ma con se stessi.
Con quelle parti di noi che nel momento stesso in cui crediamo di aver trovato un equilibrio si sono già sbilanciate in avanti.
Il mezzo fondo è diventato di fatto velocità pura, il tatticismo ha lasciato spazio a prove di forza e le tecniche di allenamento sono sempre più accurate.
Poi c’è l’alimentazione, il lavoro svolto in palestra, la gestione del riposo e quella del tempo libero.
A tutto questo bisogna aggiungere la vita, quella vera. Di quella la vasca è solo una fetta molto grossa, non la torta intera.
La vita fuori dall’acqua non resta mai davvero fuori dall’acqua.
Quando ruota il caleidoscopio bisogna prepararsi ad immaginare un nuovo colorato equilibrio.