Sono stata a Doha per la prima volta nel 2014, da atleta, per partecipare ai Campionati Mondiali di Vasca corta. Ricordo che mi aveva impressionato la quantità di cantieri, gru, palazzi in costruzione. La città cresceva giorno dopo giorno davanti ai miei occhi nel tragitto tra l’albergo e la piscina. 10 anni dopo, la piscina dove avevo gareggiato è solo una piccola parte di un’enome complesso sportivo, anzi del più grande complesso sportivo indoor del mondo.
La città sembra vivere in un continuo oscillare tra il passato e il futuro, senza cogliere davvero il presente. Come se ne fosse del tutto disinteressata. I grattacieli del quartiere Pearl riflettono la luce sui muri color deserto del souq, il mercato di spezie tessuti e gioielli. Entrare nell’Aspire Dome è un’esperienza mistica, prima di tutto fisicamente perchè è facile perdersi e camminare per qualche kilometro all’interno del palazzo senza trovare la via d’uscita. All’interno, il tempo sembra fermarsi e l’aria condizionata fa dimenticare di essere sotto la linea dell’equatore, fuori da qui potrebbe essere giorno oppure notte, ma è difficile dirlo con certezza perchè le vedrate del tetto sono coperte da grandi teloni e tutta la luce arriva da enormi fari artificiali che illuminano l’ambiente.
La popolazione a Doha è passata da 300.000 a quasi 1,2 milioni in vent’anni, una popolazione che è prevalentemente composta da stranieri, con i cittadini qatarioti che costituiscono una minoranza. La maggior parte degli expatriati in Qatar proviene dai paesi del sud-est e del sud-asiatico, principalmente dall’India, dal Pakistan, dallo Sri Lanka, dal Nepal, dalle Filippine e dal Bangladesh. Tutti i volontari presenti all’evento, tutti i lavoratori nei supermercati, negli alberghi, provengono da questi paesi, tutti gli uber che ho preso quando il bus era in ritardo, avevano driver non quatorioti.
La stessa sensazione che lascia negli occhi vedere la città artificiale, la lascia anche vedere gli spalti quasi vuoti durante le finali di un campionato del mondo. Il pubblico presente è principalmente composto da amici e parenti arrivati da lontano per sostenere gli atleti della propria nazione, persone che probabilmente hanno colto l’occasione per visitare questa parte del mondo. Sono molte le bandiere presenti sugli spalti, ma tutte sventolate da piccoli gruppi persone. Nelle sessioni di heats sono presenti alcuni gruppi di giovani studenti, accompagnati a vedere una manifestazione di cui non sanno molto, che spesso gridano e applaudono al momento sbagliato, come durante la partenza della gara, deconcentrando gli atleti nel momento di massima tensione. (Pare che sia successo lo stesso anche nelle gare dei tuffi con il risultato di far ripetere il tuffo all’atleta).
La scelta di usare molti giochi di luci durante le finali riesce in qualche modo a nascondere l’assenza di pubblico locale, ma quando le luci si accendono manca il calore delle gare viste in arene più coinvolte come Budapest o Roma.
In queste settimane a Doha si sono svolte contemporaneamente le seguenti manifestazioni sportive: i Campionati Mondiali di Nuoto, la coppa d’Asia di calcio (vinta dal Qatar), un torneo ATP di tennis femminile, e probabilmente anche altro, ma la città non sembra realmente accorgersene. Tutto convive in un caos quotidiano di traffico sia di macchine che di persone. Sembra che ognuno sia qui per un motivo diverso, come una grande fiera dove ciascuno ha noleggiato un padiglione per il suo personale interesse.
Un luogo strano, affascinante, sospeso nello spazio e nel tempo, con il desiderio di mostrare lo sfarzo prima di ogni altra cosa, riassunto al meglio dalla scelta di premiare gli atleti con le medaglie più grandi che abbia mai visto.