“Dall’esterno molti non riuscivano a vedere il mio dolore o la lotta quotidiana che dovevo affrontare. Quello che può apparire fuori è estremamente diverso dall’agonia che giace dentro“ (Ian Thorpe – Huffington Post Australia)
C’è un aspetto invisibile del mondo dello sport non solo agonistico che può insinuarsi nelle nostre vite in maniera subdola e senza lasciare segni visibili dall’esterno.
Molti atleti olimpici hanno pubblicamente raccontato la loro personale battaglia contro questo male oscuro.
Missy Franklin, Ian Thorpe, Michael Phelps, Antony Ervin, Allison Schmitt sono soltanto alcuni dei nomi di grandi campioni, di atleti che dagli spalti o dal divano comodo di casa apparivano a tutti come supereroi, come persone che avevano ottenuto tutto dalla vita. Poi però ci raccontano di stati di ansia, di pianti negli spogliatoi bui ed isolati, di terrore dell’acqua.
Dalle loro storie e da come hanno affrontato la depressione possiamo trarre grandi insegnamenti per aiutare chi sta affrontando questo invisibile nemico.
Nel nuoto la forza mentale è la parte più importante, lo si ripete in continuazione ai professionisti. Se questa forza manca o se in un periodo è più debole rispetto ad altri, potrebbe prendere il sopravvento il senso di disagio e ci si potrebbe sentire inadatti, inefficienti, inutili.
Quando sei depresso, la tua mente inizia a girare vertiginosamente in cerca di un senso, e questo ti scava un buco dentro. Si perde l’appetito, si diventa più deboli, allenarsi e concentrarsi risulta sempre più difficile.
Anche un successo, una medaglia, può lasciarti un forte senso di vuoto mentre ti chiedi perché non riesci a festeggiare, perché vorresti urlare di gioia per quel traguardo così ambito ed invece la voce si blocca in gola, stringendola così forte da farti smettere di respirare (Allison Schmitt)
Non vuoi essere abbracciato, non vuoi essere toccato, vorresti che gli altri capissero e non stessero lì a chiedersi perché mai ti succede questo, a te che hai tutto.
L’ambiente sportivo infatti può diventare causa di ansia e depressione quando contiene al suo interno dinamiche disfunzionali e frustranti. Basti pensare al peso delle aspettative di risultato che spesso possono portare al burn-out.
Il mondo dello sport in generale e del nuoto in particolare, presenta alcune fonti di stress che possono tramutarsi in stati depressivi: il rischio di infortuni, il sovrallenamento, la gestione della propria immagine pubblica, il bisogno di vincere per avere sostegni economici, le richieste tecniche in continua crescita, il terrore del fallimento, lo spettro della fine della propria carriera agonistica, sono solo alcuni tra questi.
Oltre al peso delle aspettative interne ed esterne, l’atleta deve fare i conti quotidianamente con una cultura sportiva concentrata in modo esasperato sul risultato e decisamente poco sulla qualità della performance; una cultura sportiva che troppo velocemente incorona i propri eroi dopo una medaglia pesante per poi abbandonarli o darli per bolliti alla loro prima difficoltà. Questo cosa comporta? L’atleta tende a identificarsi, sbagliando, con le sue prestazioni, attribuendo ad ogni gara un valore quasi assoluto.
Ad ogni prestazione, quindi, viene messo in discussione il proprio valore. Ogni performance è un esame o ancora peggio un giudizio rispetto al proprio valore e alla propria identità di atleta, secondo un principio dicotomico del tutto-o-niente – o sei un campione o sei un incapace – che porta a fragilizzare lo sportivo.
Questo è ciò che viene definito “depressione ad alto funzionamento” e si manifesta quando una persona sembra avere tutto sotto controllo, all’esterno, ma dentro è seriamente afflitta.
Agli occhi di un osservatore esterno i campioni della vasca che poi hanno ammesso di aver lottato contro la depressione sembrano avere tutto sotto controllo. Rendimento negli allenamenti, ottimi tempi in gara, un bel gruppo di amici, fama, successo. Nessuno li qualificherebbe come “depressi” . La nostra percezione di questa malattia è influenzata da quelle che sono le pubblicità di antidepressivi e le rappresentazioni della cultura di massa, che ci restituiscono sempre la stessa immagine: la depressione comporta un ritiro dal mondo e dalle proprie attività preferite, problemi di sonno e pianto. Questi sono dei segnali, certo, ma il problema è che la depressione ha molte facce. Ha il volto della nuotatrice olimpionica Allison Schmitt.
Come si può ritrovare sé stessi e liberarsi del peso asfissiante di questo stato d’animo?
Tutti i grandi del nuoto che hanno attraversato questa fase hanno iniziato il processo di guarigione parlandone, uscendo allo scoperto, mostrando le proprie fragilità.
Il processo di guarigione è iniziato proprio dall’acqua, dal ritrovare sé sessi proprio dove ci si sentiva persi.
Nuovi obiettivi in vasca aiutano a guardare in prospettiva futura ed i piccoli progressi fanno accrescere l’autostima. L’allenamento poi “costringe” ad uscire di casa, a vedere altre persone, a confrontarsi con l’allenatore, a trovare qualcuno con cui parlare e sfogarsi.
Il nuoto può essere uno sport solitario e tendente all’individualismo, ma se ci si apre, se ci si lascia trasportare dalla forza di questo sport, ovunque vedremo visi e braccia pronte ad alzarci. Compagni di squadra, allenatori, sostenitori. Il nuoto è una grande famiglia che non lascia nessuno da solo.