Se vi siete mai chiesti in che modo il nuoto influenza il vostro cuore rispetto agli sport “terrestri”, un recente studio potrebbe interessarvi.
Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Guelph in Canada, è stato pubblicato su Frontiers in Physiology.
Nei giorni scorsi, si è soffermato su di esso lo New York Times.
La ricerca ha analizzato la struttura e la funzionalità dei cuori di nuotatori e corridori d’elite.
La peculiarità del Nuoto
Il nuoto è unico per il fatto che i nostri corpi sono immersi nell’acqua.
Inoltre sono in posizione prona e coinvolge sia gli arti superiori che inferiori.
Aggiungete il fatto che trattenere il respiro è una grande componente dell’attività. Il nuoto è dunque uno sport totalmente diverso rispetto, ad esempio, alla corsa.
I nuotatori coinvolti nello studio sono stati reclutati ai Campionati del Mondo di Windsor, Canada, nel Dicembre 2016. Il test è stato eseguito appena dopo la fine di ogni gara.
I corridori sono stati reclutati durante la stagione agonistica da un club locale d’élite vicino all’Università titolare dello studio.
Sedici atleti sono stati inclusi in ogni gruppo e sono stati abbinati in base all’età, al sesso e alla razza.
Le differenze tra nuoto e corsa
Lo studio ha dimostrato innanzitutto che i due sport sono molto salutari per il cuore.
Ci sono però delle differenze.
I ventricoli sinistri dei cuori dei corridori si riempiono di sangue prima della media e si sgonfiano più rapidamente ad ogni battito cardiaco.
“In teoria, queste differenze dovrebbero permettere al sangue di fluire e defluire dal cuore dei corridori più rapidamente di quanto accade ai nuotatori”.
Tuttavia, poiché i nuotatori “si allenano in posizione orizzontale, i loro cuori non devono combattere la gravità per riportare il sangue al cuore, a differenza dei corridori”.
Questo è uno dei motivi per cui in questo studio viene suggerito ai nuotatori di integrare con qualche km di corsa. Ciò intensificherebbe il rimodernamento dei loro cuori.
Potete leggere di più sui risultati sia nella sintesi del New York Times, sia leggendo lo studio stesso qui.