Siamo abituati a vedere i nuotatori in acqua. Nei loro movimenti sembrano perfetti. Tutto calcolato, una routine che si ripete giorno dopo giorno e che a chi guarda da fuori, sembra quasi semplice.
Ma cosa c’è nella testa, nel cuore e nell’anima dei nuotatori? Pasquale Sanzullo ci porterà in un viaggio attraverso immagini, suoni, pensieri e silenzi che fanno compagnia a chi nell’acqua vive, sogna, ride ed a volte piange.
Sto guardando l’acqua e già avverto quell’insoddisfazione che è insieme il nostro più grande difetto e la nostra più grande risorsa.
Insoddisfazione indurita dal senso di colpa per aver saltato un allenamento. Come se rinunciare a 10 km, in una settimana che conta 90 km frazionati in 10 allenamenti, potesse fare la differenza tra il successo e il fallimento.
Sensazione che trasuda l’incertezza di chi non è campione ma anche la maturità di chi sente il peso della responsabilità.
Temiamo di non aver mai fatto abbastanza
Di perdere la motivazione se oggi non entriamo in acqua e non soffriamo come pochi su questa Terra.
Quando ci si abitua a questo modo di vivere c’è il rischio di crescere smarriti, di sentirsi vuoti, o addirittura inutili.
Ci si identifica nella prestazione, a quel punto si cade a terra.
Crediamo di essere come la prestazione, buona o scadente, e non qualcosa di più complesso e totalizzante.
Succede che il valore personale viene fagocitato dal valore atletico. Poi altro che iniezioni di autostima, servirebbe ripassare dal via in questo gioco che è la vita.
Voglio dire che le brutte gare e le buone gare non cambiano il nostro valore.
Non siamo la nostra ultima gara, noi siamo TUTTE le nostre gare.
Tutte le volte in cui sono andato male ad una gara si è affinata la mia capacità di osservare quello che ho intorno da cui posso trarre insegnamento che, apparentemente, non c’entra nulla con il mio lavoro.
Forse dovremmo dimostrare una silenziosa fiducia nel nostro corso. Le gare che vanno male andrebbero prese come un’opportunità per ricordarsi che l’attesa è la prima qualità che si impara quando si sceglie di fare lo sport ad alto livello.
Parlo per esperienza rievocando con voi la mia adolescenza quando a 16 anni i miei coetanei ricevevano la naturale esplosione ormonale ed io restavo un bambino che pretende i suoi tempi, lentissimi o velocissimi.